Il termine Archetipo, che origina dal greco arkhétypon significa “primo esemplare assoluto e autonomo” e deriva dai termini Arché e Typos, che significano rispettivamente Principio e Forma: viene utilizzato anche dallo psicanalista svizzero Carl Gustav Jung all’inizio del 1900 per indicare “il contenuto dell’inconscio collettivo, cioè le idee innate o la tendenza a organizzare la conoscenza secondo modelli predeterminati innati”.
L’archetipo non è definibile né dimostrabile materialmente ma ogni uomo ha la capacità di percepirne la valenza: innocente, orfano, guerriero, amante, saggio, angelo custode, cercatore, distruttore, sovrano, folle, mago, solo per citarne alcuni[1] sono utilizzati nel parlare quotidiano da ciascuno di noi e indicano un preciso ruolo o compito che non richiede spiegazioni.
Padre, madre, figlio, marito o partner sono altri archetipi che utilizziamo per definire i rapporti esistenti fra noi e le persone che ci circondano: attraverso il suono che emettono, quando vengono citati, sono capaci di ergere vere e proprie raffigurazioni energetiche, come se le parole potessero costruire statue.
Quando mi riferisco al peso di un archetipo, ne parlo nel mio libro Un sorso e un morso, intendo chiamare in scena la forza energetica capace di alterare la distribuzione della materia di cui siamo composti fino a trasfigurarla. Voglio collegarmi a uno dei capitoli iniziali del libro che parla di genealogia rammentando che il passaggio da figli ad adulti, che coincide spesso con l’uscita di casa e con la costruzione della propria indipendenza, muove i primi passi verso un’autonomia che è solo apparente.
Non si diventa adulti di colpo solo per avere apposto sulla plancia del citofono il proprio cognome e nemmeno per aver ricevuto per posta la cartella elettorale.
Adulto è colui che sa armonizzare con coerenza la sua vita e quella di chi dipende da lui facendo il bene del gruppo. Ma un adulto ha atteggiamenti, posture e competenze che un giovane non ha, e queste contengono una densità evidente che si esprime anche sul corpo.
Questo è uno dei motivi per cui alcune persone passano da un aspetto fisico a un altro proprio quando le fasi della vita si susseguono. Non è giustificato acquisire quaranta chili di peso passando dai venti ai quaranta anni, ma ti sarai accorto che il peso che avevi a vent’anni oggi è impensabile da raggiungere e da mantenere.
Sembra quasi che qualcosa abbia deciso di sommarsi al trascorrere del tempo e che oggi sale sulla bilancia con noi, ogni volta che ci pesiamo, anche se le persone che ci conoscono dichiarano di trovarci uguali, senza grossi cambiamenti.
Cambiare è doveroso, la disposizione della materia nello spazio obbedisce all’energia del tempo, dell’ambiente e del gruppo di cui facciamo parte.
Una madre, benché in splendida forma, ben allenata da uno sport praticato almeno due volte la settimana, e che segue un’alimentazione prettamente sana ed equilibrata ha comunque un’impronta energetica che il suo corpo ha registrato.
Se sei un bravo osservatore potrai riconoscere, esaminando le persone che incontri durante la giornata, chi è sposato, chi è genitore, chi è figlio, chi amante, chi mago o folle. E non solo perché l’età dei soggetti osservati sia un indizio.
Ognuno dei soggetti è un archetipo, o per lo meno lo rappresenta e non sarà difficile riconoscere di quale si tratta.
Nelle mie ricerche e osservazioni in merito mi rendo conto che anche la professione, il successo, la responsabilità di dover gestire del personale, hanno un peso che aderisce alla corporatura della persona che ne è coinvolta.
Dipendente e imprenditore hanno pesi specifici differenti e sono certa che comprendi che non sto parlando del peso riportato dalla bilancia pesa persone.
Spesso con gli amici giochiamo a indovinare la professione delle persone conosciute in viaggio, in vacanza, o per curiosa casualità. Facciamo bingo quasi sempre.
Cosa c’entrano questi esempi con l’argomento di questo articolo, ti starai chiedendo?
C’entrano eccome.
Nel mio libro, nel capitolo in cui ho parlo degli atleti, degli ormoni e di come la loro produzione interferisce con la corporatura del soggetto, ho introdotto i concetti di massa ed energia. A pesare in noi non sono solo la struttura acquisita con la nascita e la crescita ottenuta attraverso l’alimentazione e l’evoluzione. Ci nutriamo di emozioni e di rapporti e benché possa sembrare siano introduzioni prive di calorie dobbiamo ammettere che hanno il potere di alterare la nostra forma.
Mangiare a casa propria, da amici, o da parenti non propriamente graditi, lo stesso tipo di alimento, a parità di grammature e di metodo di cottura, conduce a percorsi digestivi e assimilativi differenti.
Chi pranza spesso fuori casa in situazioni non gradevoli, con elementi di disturbo, quali rumore, eccessiva quantità di gente, campi elettromagnetici confusi o disarmonici sa di cosa parlo. Mangiare in un ipermercato o in una grande catena di ristorazione dove tutti sono di corsa e c’è la coda alle casse crea una situazione di spinta e attesa che non è congeniale alle corrette funzioni fisiologiche.
Quando spieghiamo che qualcosa ci è rimasto sullo stomaco spesso non ci riferiamo al cibo, anche se a esso attribuiamo la responsabilità di averci creato fastidi.
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La mia rubrica su MobMagazine si intitola Sotto palese copertura: leggi i miei articoli.
[2] Notoriamente le persone ipotese trovano difficile digerire l’aglio, il melone, il cetriolo, l’anguria e tutti quegli alimenti capaci di drenare il liquidi, come se il corpo volesse evitare di perdere altri sali minerali, che sappiamo essere estremamente importanti nella regolazione della pressione sanguigna. Per contro gli stessi alimenti sono ben tollerati dai soggetti ipertesi che trovano vantaggio nel drenaggio dei liquidi in eccesso che concorrono a favorire l’aumento della pressione.