Il “giardiniere”, come amava autodefinirsi lui stesso, nacque a Bordighera il 20 aprile del 1925 e fu allievo di un insigne maestro di botanica: il professor Mario Calvino, direttore negli anni Quaranta della stazione sperimentale di floricoltura di Sanremo e padre del noto scrittore Italo Calvino.
Libereso, vegetariano da sempre e precursore della biodiversità, fu chiamato così da suo padre, anarchico tolstoiano, che parlava l’esperanto e sapeva bene che un nome che significa libertà sarebbe stato di buon auspicio per suo figlio. Infatti, prima come borsista poi come sperimentatore, rimase al fianco del professor Mario per ben 10 anni acquisendo i segreti della botanica e assorbendo l’amore per la natura.
La frequentazione assidua con la famiglia Calvino condizionò il primo racconto che Italo, quasi coetaneo e amico d’infanzia, scrisse nel 1940 a soli 17 anni. Il brano che si intitola Un pomeriggio Adamo ed è tratto dalla raccolta I Racconti inizia così: «Il nuovo giardiniere era un ragazzo coi capelli lunghi e una crocetta di stoffa in testa per tenerli fermi». Viene facile immaginare che anche i racconti successivi di Italo Calvino furono suggestionati dalla figura del gentil giardiniere.
Alla morte di Mario Calvino nel 1951 Libereso, a 26 anni, assunse la direzione di un’azienda brasiliana di orchidee, anturium, rose e strelizie dell’Italia meridionale, e viene ancora oggi ricordato come il primo giardiniere del nostro paese che fu capace di raccogliere e diffondere l’eredità della conoscenza popolare a proposito delle erbe spontanee.
In seguito all’esperienza brasiliana si trasferì in Inghilterra dove rimase per circa 12 anni svolgendo attività di propagatore presso lo Stuard Low Ltd Enfield, e successivamente di capo-giardiniere del Giardino Botanico Middleton House e del Giardino delle Erbe dell’Università di Londra.
Rientrò in Italia nel 1970 con la famiglia che nel frattempo aveva formato in Inghilterra e, su incarico del Credito Italiano, dal 1975 si occupò di rimettere a nuovo i 40 ettari del Parco di Villa Gernetto a Lesmo che contenevano piante di più di 300 anni di età: un tesoro che rischiava di svanire nel nulla.
Partecipò negli anni anche a numerose trasmissioni televisive delle reti nazionali e private e fu attivamente coinvolto nell’allestimento di mostre di pittura (era un eccellente acquerellista). Insegnò la botanica nelle scuole e collaborò alla stesura di numerosi libri di giardinaggio tra cui l’edizione italiana de I Piaceri dell’Orto del grande John Seymor, illustrato da Peter Morter; ricordo con piacere il cult Libereso, il giardiniere di Calvino edizione Muzzio del 1993, con la prefazione di Nico Orengo. Entrambi i testi sono arricchiti dalla presenza del famoso paesaggista e traduttore italiano Ippolito Pizzetti.
«Io sono cresciuto in una famiglia dove la lezione della non violenza era il pane quotidiano. E all’interno del giardino, un orto botanico meraviglioso, dove mia sorella Omnia giocava con l’acqua del ruscello all’ombra di alcune palme dalle foglie a piuma, su una lastra di marmo a caratteri d’oro, era inciso un brano che recitava: “Amare gli umili e gli oppressi, ispirarsi al benessere popolare, il lavoro creatore, maledire i tiranni, glorificare la virtù popolare, e, soprattutto, cantare la rivolta degli schiavi e la solidarietà”.»
Claudio Porchia, Il diario di un giardiniere anarchico, 2019
Libereso Guglielmi, la cui fama divenne presto internazionale, collaborò inoltre alla realizzazione di servizi giornalistici per autorevoli testate come Il Giardino Fiorito, Gardenia e Giardini.
Il 23 settembre 2016 morì a Sanremo dove aveva creato, in via Dante Alighieri, un giardino magico capace di inghiottire l’orrore della speculazione edilizia che lo circondava. Aperto il suo cancelletto scricchiolante della villa a due piani dove abitava con la famiglia, ti trovavi in un paradiso di profumi e colori: rose, geranei odorosi, garofani, anemoni, capperi e una miriade di piante tropicali.
Uomo semplice e vigoroso, Libereso Guglielmi ci lascia in dote un patrimonio artistico e culturale inestimabile: speriamo di meritarlo!
Caterina Civallero
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