Ossimoro, ironia e tautologia: tre pilastri dell’arte retorica
di Caterina Civallero e Alessandro Zecchinato
L’OSSIMORO
Fra tutte le figure retoriche una delle più affascinanti è l’ossimoro. Questa parola deriva dal greco oxymoron, composto da oxis che vuol dire acuto e moros che significa ottuso.
Distanziamento sociale, una stima esatta, insostenibile leggerezza, agguerrito pacifista, copia originale, cenci sfarzosi, le tiepide nevi, ghiaccio rovente, urge procrastinare, silenzio assordante, assenza ingombrante, vivida cecità, oscura chiarezza, viscida solidità, tacito tumulto, attimo eterno, dotta ignoranza, convergenze parallele…
Questi esempi su riportati servono a introdurre alcuni degli argomenti del prossimo Corso di scrittura che inizia il 4 Agosto 2020 dalle 20,30 alle 22,30 in tre lezioni (4-11-18): chiedi informazioni a caterinacivallero@gmail.com o clicca qui per conoscere il programma.
L’ossimoro, per dirlo in parole semplici, è l’affiancamento di due termini, spesso aggettivo e sostantivo, dal significato diametralmente opposto.
In letteratura esistono infiniti esempi di questo modo di esprimersi, molto usato anche nel linguaggio parlato e spesso anche in poesia, quando si voglia colpire emotivamente con un’espressione che apparentemente spezzi la logica mettendo in risalto un qualche contrasto: contrasto che però diventa, alchemicamente parlando, una sintesi degli opposti. Si immagini anche solo il simbolo del Tao in cui due entità opposte si compenetrano e in una vi è il seme dell’altra, dando vita a un nuovo Uno diverso dal dualismo che lo ha formato ma che comunque lo comprende.
Per non filosofeggiare troppo procediamo a un esempio qualunque: “Quel buio abbagliante che mi accolse in fragoroso silenzio durante la mia dipartita scosse con dolce e tenera violenza la mia anima: finalmente riuscii a percepire con i miei sensi tutte le persone ormai andate che, come fantasmi amorevoli, furono le assenze più presenti nella mia vita. Un attimo di eternità mi avvolse nel nulla più pieno che avessi mai percepito!”.
Quanti ossimori ci sono nella frase qui sopra?
IO SO DI NON SAPERE
L’ironia (dal greco eirōneía, “dissimulazione”) è uno strumento usato allo scopo di sottolineare la realtà di un fatto mediante l’apparente dissimulazione della sua vera natura o entità.
Essa è spesso un’affermazione contraria a ciò che si pensa con lo scopo di ridicolizzare idee o concetti: portata all’estremo diviene “sarcasmo”. La reale differenza fra le due modalità letterarie è che l’ironia è spesso benevola mentre il sarcasmo ha il chiaro scopo di offendere.
Nella letteratura greca antica l’ironia aveva una accezione negativa, come ricorda lo storico Gregory Vlastos; in seguito lo stesso termine mutò gradualmente di significato e venne utilizzato con un senso più elegante grazie agli interventi di Socrate, autore del titolo di questo paragrafo.
Quintiliano nel I sec. d.C. affermò: “Ironia è quella figura di linguaggio nella quale deve essere compreso il contrario di ciò che si dice.”
In epoca più recente Freud ne fece uno studio psicoanalitico approfondito. Stefano Benni, scrittore, umorista, giornalista, sceneggiatore, poeta e drammaturgo italiano, autore televisivo e “battutista” di Beppe Grillo agli esordi, afferma: “L’ironia è un medicamento contro la paura”.
Sono sue le seguenti citazioni:
“La comunicazione perfetta esiste. Ed è un litigio.”
“Io non so se Dio esiste, ma se non esiste ci fa una figura migliore.”
“Essere innamorati è orribile.”
LA TAUTOLOGIA
La tautologia, nella logica formale classica, è una proposizione che, proponendosi di definire qualcosa, non fa sostanzialmente che ripetere nel predicato ciò che già è detto nel soggetto.
È in pratica una ripetizione di solito inutile e viziosa di medesime parole che si esprimono sulla stessa cosa; il termine tautologia infatti deriva dal greco tò autò legéin (dire la stessa cosa).
Linguisticamente è una ridondanza che all’interno di un dato discorso ripete più volte lo stesso concetto per dare più enfasi al discorso. Si commette tautologia quando si corre il rischio di usare le parole a sproposito per dire un’ovvietà, come ovvio sarebbe affermare che un logico fa ragionamenti razionali. Le tautologie offrono un discorso circolare e piuttosto serrato privo di valore informativo: potremmo dire che la tautologia sia, in parte, un eccesso di descrittività.
Quindi, quando si usa un’espressione il cui significato è già implicito almeno in parte successivamente nella frase, si cade perentoriamente nella tautologia.
Siamo tautologici, ad esempio, quando scriviamo: rischio potenziale perché la potenzialità e già insita nel concetto di rischio: senza di essa non avremo un rischio ma una certezza. Altre tautologie sono: sradicare totalmente, limitarsi solamente, progetti futuri, breve istante, collaborare assieme, circondare completamente, piena unanimità, classificare in categorie, moda passeggera, prenotare in anticipo, protagonista principale, esito finale, colpo di grazia definitivo, cooperazione reciproca, errore involontario, palesemente ovvio, requisiti necessari, convinzioni personali, prevedere prima.
Non è un errore vero e proprio cadere nel tranello tautologico ma è dannoso abusarne.
D’altro canto l’eccesso di questo modo di esprimersi può provocare effetti comici, si pensi a titolo di esempio al personaggio di Catalano negli sketch con Renzo Arbore.
Caterina Civallero
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