Sarà capitato anche a te: quando si ordina il vino al ristorante si tende a scegliere fra bottiglia, bicchiere o, nel caso del vino alla mescita (definito nei menù come “Vino della Casa” nonostante la sua provenienza sia misteriosa), tra caraffe da litro, mezzo litro o un quarto di litro.
Facciamo un passo indietro nella storia: pochi sanno che nel 1612 Carlo Emanuele I ordinava in tutte le terre del suo dominio, 610 comuni subalpini, una generale riforma, e la compiva in modo degno per servire da esempio ad altre nazioni. All’epoca in quei territori vi erano 19 pesi, 56 misure di lunghezza, 56 di superficie, 100 di capacità pei grani e 83 pei liquidi.
In Piemonte, dove vivo, chi parla ancora in dialetto, quando si riferisce alle unità di misura usa spesso il termine stissa, intendendo una piccola goccia di vino che si attesta fra i 2 e i 3 grammi di sostanza. Chiaramente ognuno ha un suo concetto di stissa, così chi versa si sente dire “basta grazie” quando il bicchiere è mezzo pieno, ma si è tutti concordi sulle altre misure relative alle bevande. Più precisamente, riferendosi ai vini di cui la mia regione è piuttosto fornita, forse a dispetto del sistema metrico decimale introdotto da Carlo Alberto nel 1848, o semplicemente per rispetto alle nostre origini, si usano con grande competenza tutta una serie di misurazioni.
Tutto in Piemonte parte dalla stissa e prosegue così:
Ën dil (vuol dire un dito) = da 10 a 12 cc
Bicer = da 150 a 280 cc
Quartin = 0,342 litri
Canun = da 500 a 500 cc
Bocal = 0,684 litri
Buta (significa bottiglia) = da 0,75 a 1 litri
Pinta (2 bocaj) = 1,369 litri
Pintun = da 1,7 a 2 litri
Sigilin (secchio) = da 4 a 5 litri
Gavià (intraducibile) = da 18 a 45 litri
Butalin = da 37 a 43 litri
Brenta (damigiana) = da 40 a 58 litri
E mentre nei secoli, nel centro e sud Italia si consolidava la regola di lasciare sempre un po’ di vino nel bicchiere per dichiarare che si berrà ancora (attenti a chi beve tutto fino all’ultima goccia!), grossomodo a ridosso del 1600 sulle Alpi Apuane, a proposito di misure relative alle bevande, si prendevano decisioni analoghe a quelle dei comuni subalpini.
Riporto un documento molto interessante: si tratta di una conversazione contenuta nel libro Rosso Scarlatto di Davide Baroni, stimato autore di Aulla (MS), che per la costruzione di un preciso capitolo ha magistralmente condotto una ricerca a proposito dei regolamenti sulla storia della mescita. Qui i riferimenti per acquistare il suo libro.
«Sapete che ogni brocca, in base alla capacità di contenere liquidi, ha un nome particolare?» chiese Martin, al quale piaceva raccontare aneddoti.
Avendo la bocca piena, Lara e Camillo fecero cenno di no con il solo movimento della testa.
«Questa da un litro, per esempio, si chiama tubo.»
«Sinceramente non lo sapevo» disse Camillo, dopo aver ingoiato il grosso boccone di panigaccio. «Ogni recipiente quindi ha un nome diverso?»
«Proprio così! La brocca da mezzo litro si chiama foglietta, poi c’è il famoso quartino. Un quinto di litro è chiamato chierichetto, mentre un decimo di litro, giustamente, è definito sospiro. Tempo fa, mentre studiavo questi contenitori per un saggio sulla storia del vino, mi sono imbattuto in un aneddoto riguardante un detto italiano molto famoso: “stare a guardare il capello”, e ho capito da cosa derivasse.»
«Interessante!» lo interruppe Camillo. «È una frase che uso spesso anch’io… e da cosa nasce di preciso?»
«Sembrerà strano, ma i capelli non c’entrano nulla. Il detto deriva dalla vendita del vino. Nel Medioevo i romani bevevano molto nelle osterie, e troppe serate finivano con risse e feriti. Alcune volte ci scappava anche il morto.»
«Immagino!» esclamò Lara.
«Dovete sapere che un tempo il recipiente del vino era di terracotta o di metallo e l’avventore non poteva sapere quanto vino gli venisse servito. A causa di questo, molte volte accusava l’oste di frode e da qui nascevano i litigi.» Martin fece una pausa e bevve un sorso di rosso: «Considerati i troppi atti di violenza» riprese lo storico, mentre si asciugava le labbra con il tovagliolo «nel 1588, papa Sisto V decise di intervenire, regolamentando la mescita, così da evitare morti inutili. Commissionò la creazione di recipienti trasparenti, con i nomi che vi ho elencato prima. Nei recipienti di vetro la misura esatta del livello del vino era determinata da una stanghetta incisa sul collo del contenitore, chiamata capello. Tutto nasce da quello. Quando un cliente si lamentava che il vino era sotto il livello indicato dalla stanghetta, l’oste gli rispondeva: “Ma che stai a guardà, er capello?”»
Da oggi, quando ordinerete un calice di vino, ricordate che i nostri avi hanno bevuto con grande rispetto per le misure. Sapevatelo…
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