La maggior parte delle intolleranze alimentari ha una simbologia molto interessante da decodificare, ne parlo nel mio libro Un sorso e un morso.

Alcune figure professionali legate all’ambiente della naturopatia potrebbero orientarvi verso una presa di coscienza utile e interessante a proposito del fatto che certi alimenti sono temporaneamente mal graditi dal vostro corpo.

Differenzio sempre la questione intolleranze da quella delle allergie, poiché per intolleranza alimentare, in questo contesto, ci si riferisce a quell’atteggiamento transitorio e circoscritto che la nostra fisiologia inscena per reagire a determinati cibi, metodi di cottura, o combinazioni alimentari. La caratterizzazione dell’intolleranza risiede proprio nel suo essere temporanea.

Le più comuni sono riferite ai cibi solidi e liquidi, lievitati e fermentati, al lattosio, al latte, al glutine.

Spesso si può arrivare a scoprire che uno di questi disagi o tutti insieme sono presenti nella storia alimentare di una persona che si nutre in maniera disorganizzata e disarmonica, senza sospettare che il disagio del corpo, nonostante si stia esprimendo attraverso alcuni cibi definiti intollerati, in realtà sta comunicando una saturazione complessiva che va gestita nella sua totalità.

In inverno, quando il ramo di un albero si spezza per il peso creato dalla neve è all’ultimo fiocco che cade che attribuiamo erroneamente la responsabilità della rottura. In realtà è a partire dall’accumulo dei primi fiocchi caduti che si creano le condizioni per cui il ramo potrebbe spezzarsi. La tolleranza di un ramo ha un’armonia precisa che è inerente alla struttura di cui è composto, la sua lunghezza, la sua consistenza età e flessibilità, e il diametro del ramo stesso.

Noi siamo pressoché costituiti dalle stesse caratteristiche. Un soggetto esposto a un periodo di forti implicazioni psicofisiche, dopo l’assunzione di farmaci per periodi medio lunghi (si ipotizza per patologie acute), in determinate condizioni ormonali, se sta vivendo eventi stressanti che riguardano la sua territorialità (la sua casa, o il rapporto con il suo partner o i figli) e la sua sopravvivenza (il lavoro e la possibilità di approvvigionarsi di cibo) può reagire alla proposta alimentare classica in maniera imprevedibile e manifestare reazioni inedite e fastidiose.

Dobbiamo avere chiaro se l’alimento è portatore di disturbo o se acuisce, in verità, una situazione precaria che ha già avuto inizio ma che non ha ancora ricevuto diagnosi.

Considerare in quale momento storico ci troviamo in una eventuale situazione di intolleranza verso alcuni alimenti ci eviterà l’equivoco di pensare che siano loro i veri responsabili dei nostri problemi.

Famosi nutrizionisti italiani, infatti, sconsigliano di eliminare totalmente dalla propria vita l’alimento incriminato e suggeriscono al paziente di osservare quali comuni denominatori inneschino, o concorrano a innescare, le reazioni sgradite.

Gli organi e tessuti che più facilmente di altri si lamentano quando siamo intolleranti sono lo stomaco, l’intestino tenue e l’intestino crasso (meglio conosciuto come colon), il fegato e la cistifellea, i reni, la pelle (che guarda caso è il nostro terzo rene), poi il polmone.

Quando l’intolleranza fa la sua comparsa è segno che si è persa l’omeostasi e che va riconquistata, (e bada bene non mi riferisco alla singolare e soggettiva avversione a digerire l’aglio, la cipolla, il cavolo, la buccia del peperone e di alcuni legumi, che è legittima e indicatrice di quali siano gli organi più delicati e della naturale tendenza a essere più congenitamente propensi all’ipotensione o all’ipertensione).

L’omeostasi è davvero un delicato meccanismo fisiologico di salvaguardia ed evoluzione umana straordinario.

L’omeostasi è equilibrio, è armonia delle sfere fisiche ed emotive, l’omeostasi preserva il corpo da dispendi energetici distruttivi. Una persona innamorata consuma più calorie di quelle introdotte e ne consuma quasi quanto una disperata. Le pene d’amore sono fisiologicamente pericolose ai fini della sopravvivenza poiché dalla loro manifestazione può prender vita una forma di deperimento organico e psichico che spalanca porte e finestre a un atteggiamento depressivo, dove il termine depressione ha la valenza letterale di privo di pressione, o privato di pressione.

L’innamoramento malinconico strategico è vissuto, e pilotato, da quelle persone che controllano il proprio peso ai danni della propria psiche e bisogna confessare che ai fini del dimagrimento funziona. Dimagrire straziando il proprio cuore è una dinamica non priva di conseguenze, così come lo è fumare al posto di mangiare, saltare i pasti, utilizzare farmaci anoressizzanti, e vomitare volontariamente il cibo appena ingerito.

Atteggiamenti come questi appena citati spingono il delicato pendolo dell’omeostasi a registrare oscillazioni vertiginose che, come ovvia conseguenza, richiederà un atto compensativo. Tanto più spingeremo allo stremo il pendolo omeostatico tanto più dovrà toccare un punto opposto per poter riconquistare il suo centro. Ovvero se pesiamo 58 chilogrammi per 172 cm di altezza e ne perdiamo di colpo cinque arrivando a 53 (valore registrato come sottopeso) il corpo si inventerà il modo di arrivare a 63 chilogrammi per compensare l’ammanco.

A certe regole non si sfugge e per questa ragione genealogicamente una perdita improvvisa di denaro o di status sociale verrà registrata dal sistema famigliare e manifesterà in uno dei soggetti che ne fanno parte (o nei più predisposti a reagire in forma compensativa) uno stato di accumulo. L’incremento di peso, anche quando è localizzato, dovrebbe indurre le persone a comprendere che la manifestazione fisica di una forma disarmonica risponde sempre a uno stimolo avvenuto a monte.

Nella conduzione delle consulenze genealogiche presto attenzione alla storia del soggetto proprio per individuare a quale input il corpo stia reagendo.

Se lo stimolo è alimentare basterà ridimensionare l’alimentazione o l’atteggiamento che si ha nei confronti della nutrizione; se nonostante le attenzioni salutistiche il corpo resta nel disagio è evidente che la pista da seguire va ricercata altrove.

Siamo il risultato di atti biologici che ci precedono, anche per questa ragione ritengo che conoscere e valorizzare la propria storia sia fondamentale: di conseguenza se non siamo disposti a “lasciar andare” le questioni emotive che ci riguardano resterà improbabile agire efficacemente sulla propria forma fisica.

Caterina Civallero

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CATERINA CIVALLERO saggista e scrittrice

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